“Se vuoi avere successo, guarda chi ha fallito!”, sembra una di quelle frasi motivazionali che si trovano in giro sui profili instagram.
E invece no, l’ho appena scritta, non la troverai nel mio profilo su instagram e per scriverla mi sono ispirato al Bias di oggi.
Tutti noi conosciamo le storie di Steve Jobs, Bill Gates, Elon Musk, le storie delle startup unicorno e di tutti quelli che sono riusciti ad avere “successo” in una determinata area o settore non necessariamente imprenditoriale.
Ogni tanto, quando leggo queste storie, vivo due emozioni differenti.
La prima mi spinge a chiedermi “Com’è hanno fatto?”, mentre la seconda mi fa venire voglia di chiudere tutto e dedicarmi ad altro.
Due emozioni diametralmente opposte: la prima positiva, la seconda negativa.
E tra le due ho sempre riflettuto sulla seconda e sul motivo per cui, a volte, io provassi quasi disgusto e noia nel leggere le storie di chi ha avuto “successo”.
Invidia? No.
Semplicemente mi chiedo se serva davvero, solamente, una bella idea, un garage, una t-shirt grigia, un po’ di sfiga durante l’infanzia per diventare il nuovo miliardario o se per vincere le prossime olimpiadi sia solamente sufficiente indossare un paio di scarpe da corsa, visualizzare la vittoria e ripetere a se stessi che “ce la posso fare”.
Mi sono sempre chiesto se ci fosse dell’altro.
Così, tra i vari Bias, scopro che ce n’è uno che un po’ risponde alle mie domande.
🧠 Quando nella valutazione di una situazione ci si concentra soltanto su alcuni elementi trascurando gli altri più invisibili, si cade nel Bias della Sopravvivenza.
Ad esempio, il fatto che alcuni imprenditori di successo abbiano abbandonato gli studi non significa che tutti coloro i quali non completeranno gli studi avranno successo.
Oppure ancora pensare l’idea originale e il garage siano “le cause” per diventare la prossima startup unicorno è l’ennesima trappola del Bias della Sopravvivenza.
Il nome del bias deriva dall’errore che una persona commette quando davanti ad un set di dati considera solo quelli “sopravvissuti”, cioè visibili, tralasciando quelli che invece non lo sono.
Il nome è stato coniato per la prima volta da Abraham Wald, un famoso statistico noto per aver studiato gli aerei della seconda guerra mondiale.
In breve, il gruppo di ricerca di Wald fu incaricato di trovare la soluzione per proteggere meglio gli aerei da guerra.
L’approccio iniziale fu quello di concentrarsi solo sulle parti degli aerei sopravvissuti che avevano subito il maggior danno.
La soluzione quindi sarebbe stata quella di rafforzare gli aerei con una migliore protezione in quelle aree maggiormente danneggiate.
Tuttavia, Wald notò che gli aerei con le informazioni più rilevanti erano quelli che erano stati abbattuti, poiché erano proprio quelli gli aerei da studiare per trovare le parti da proteggere maggiormente.
E grazie a questa storia e al Bias della Sopravvivenza ho capito perché davanti alle “storie di successo raccontate male” provo quell’emozione di disgusto e di noia!
Perché ogni storia ha le sue informazioni visibili e invisibili, sopravvissute o meno al racconto o alla memoria di chi le riporta.
Ricordiamoci sempre che il nostro cervello a volte attiva il pilota automatico per risparmiare energie, ma non sempre ci aiuta a prendere la scelta migliore.
A presto 😊