Questa mattina ho letto un articolo molto interessante per chi è un libero professionista e vive e lavora al Sud.
Si parla di come medici ed odontoiatri, ingegneri e architetti, rappresentanti di commercio e dei professionisti forensi siano aumentati del 22% dal 2005 ad oggi, con 1.500.000 iscritti (all’Associazione degli enti previdenziali privati).
Si descrive un quadro in cui “i liberi professionisti costituiscono circa il 6% dei lavoratori italiani e il loro numero è aumentato del 25% in 12 anni. Il reddito dei liberi professionisti è diminuito negli ultimi 12 anni del 2,73%, ma negli ultimi 3 anni si assiste ad un arresto della decrescita“.
Così come fa riflettere il dato sulle libere professionista che “guadagnano in media il 40% in meno dei loro colleghi uomini, una differenza di reddito che, seppur meno evidente rispetto a quella che coinvolge le più anziane, è già rilevabile per le under 30“.
A cosa penso quando leggo questi dati?
“C’è crisi”, “ci sono meno soldi in giro”, “i clienti non sono disposti a pagare di più” sono solo alcune delle risposte che mi vengono date quando parlo con alcuni liberi professionisti (sia amici che non).
Contemporaneamente, altri liberi professionisti che conosco e che hanno deciso di innovare la propria professione, mi dicono che scoppiano di lavoro e che sono alla ricerca di collaboratori.
Credo che la verità stia nel mezzo.
Ci sono alcune libere professioni in cui il mercato è saturo e, ogni anno, le università sfornano laureati che vanno ad ingrossare ulteriormente l’offerta a parità di una domanda stabile negli anni.
In questi casi, la soluzione migliore è trovare la strada per essere percepiti diversi dalla concorrenza e adottare un approccio alla libera professione diversa rispetto ai predecessori.
Ci sono altri liberi professionisti che non abbracciano il cambiamento e vogliono a tutti i costi restare fedeli all’idea della libera professione di vent’anni fa.
Ecco, per loro non ci sarà futuro.
Poi ci sono i liberi professionisti che anno dopo anno guardano i cambiamenti con paura, ma anche con gli occhi della opportunità.
Per loro, la parola crisi non è contemplata.
Sono gli stessi che hanno deciso di guardare con occhi nuovi alla libera professione per tornare a viverla così come l’hanno sempre desiderata.
Infine, penso a come i liberi professionisti considerano il loro lavoro.
Gli esperti attribuiscono quattro diversi significati alla parola lavoro.
Lavoro come impiego, quando si lavora per prendere uno stipendio. In questo caso non c’è nessuna passione, nessun coinvolgimento in quel che si fa.
Si lavora per inerzia.
Lavoro come carriera, quando si attribuisce al lavoro uno funzione strumentale al successo, all’ascesa e prestigio sociale.
Il lavoro come vocazione, quando si è letteralmente “chiamati”.
È qualcosa che si fa per un senso di obbligo, dovere о destino personali.
Infine, quello che preferisco, il lavoro come realizzazione, inteso quel lavoro profondamente ispirato da passioni personali, ma senza la caratteristiche del lavoro totalizzante.
A volte la scelta di quel determinato lavoro è un modo per sviluppare il proprio scopo o può rivelarsi una fonte importante di senso della vita.
Ecco, penso che la chiave di lettura sia proprio questa: come intendi tu la tua professione.
Se pensi che la libera professione sia un impiego, dove tutto è dovuto solo perché hai conseguito una laurea e un master, beh, sarà sempre più dura andare avanti, soprattutto in un mercato in continua evoluzione.
Ma se guardi al tuo lavoro con gli occhi di chi cerca la propria realizzazione, la carriera o, perché no, anche una vocazione, allora le statistiche le puoi lasciare a chi si lamenta per dare la colpa oggi alla crisi, domani al governo e via via sempre a qualcun altro.